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Lettera aperta a noi giovani

Mi rivolgo ai miei coetanei

In questa assenza dei corpi sentiamo la necessità di far circolare le parole. Siamo dentro a una grande crisi, difficile, drammatica e dobbiamo viverla, ma in questa frattura sociale possiamo trovare i semi di una nuova umanità. Questo prepotente virus che ci obbliga al nostro domicilio, restate a casa, ci dimostra senza ombra di dubbio che i confini non esistono, non dimentichiamolo quando tutto questo finirà e torneranno visibili a bussare le migliaia e migliaia di persone, povere, disperate, fuggite dalla guerra, dalla fame, dalla povertà, dalla dittatura.

Non dimentichiamo la fragilità che adesso stiamo provando sarà utile per entrare in reale empatia con loro. Tutti abbiamo visto i treni affollati per scappare da Nord a Sud, perché la paura fa tremare, fa scappare non riusciamo a stare nella paura e cerchiamo qualunque mezzo per scappare che sia un treno o un gommone.

Di qui in avanti sarà impossibile non tenere conto di quello che più di tutto è indispensabile alla vita: la nostra terra, il rispetto della natura. Il virus ci ha imposto uno stop e così l’aria è di nuovo pulita, i delfini nuotano liberamente vicino ai porti, i canali di Venezia sono limpidi come mai prima.

Ci dovevamo fermare lo sapevamo, il virus è stato solo l’ultimo dei segnali, Greta ci aveva avvisati  “la nostra casa era in fiamme” e dato che nessuno sembrava interessato a spegnere l’incendio, il 2019 è stato l’anno in cui milioni di giovani sono scesi in piazza per ricordare al mondo che qui siamo ospiti, che le risorse di cui disponiamo non devono bastare soltanto a noi ma soprattutto a chi verrà dopo di noi, alle nuove generazioni. C’è un equilibrio da trovare fra uomo e natura e i giovani possono essere una chiave per interpretare questo passaggio di testimone, dall’antropocene  alla relazione biunivoca tra natura ed essere umano. Il coronavirus, un virus naturale e non creato in laboratorio come qualcuno vuole farci credere, ci riporta alla nostra dimensione umana di vulnerabilità nella quale non siamo i “padroni” ma più semplicemente una parte dell’ecosistema fatto da piante, animali e umani.

Non potremmo mai dimenticare questo periodo essenzialmente vuoto, per assurdo è accaduto che la mancanza di cose ci ha fatto percepire, toccare con mano ciò che rende la vita ricca, gli abbracci, i baci, le carezze, un semplice “ciao” di un amico.

Abbiamo camminato piuttosto sereni a un passo dall’isolamento tecnologico, eppure oggi ci mancano le nostre relazioni, riscopriamo il nostro intimo desiderio di umanità, cerchiamo un vero contatto fisico. In questa assenza ci ritroviamo a sperimentare il vero valore delle cose, ne annusiamo l’importanza e a noi giovani oggi spetta il compito più importante di tutti: testimoniare con i fatti e anche con le parole ciò che è stato per fare in modo che tutto ciò non riaccada mai più. Ora lo sappiamo questo mondo deve essere ricostruito su basi reali, su fondamenta solide, come la solidarietà, la fratellanza e l’uguaglianza, temi antichi ma oggi attualissimi.

Essere giovani nella “vecchia” Italia, quella pre-virus, era uno svantaggio i dati ce lo dimostrano, centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze in esodo verso terre migliori, alla scoperta dell’altro in altri stati, la cosiddetta “generazione Erasmus”, così a modo nostro abbiamo riscoperto il senso del mondo, un mondo unito, composto da innumerevoli diversità che poi alla fine combaciano.

Questo nuovo mondo deve dare il giusto spazio ai giovani per ripartire in modo diverso e soprattutto rinnovato. Nulla sarà come prima, potremmo avere il desiderio di tornare alla normalità passata, ma sappiamo bene che era proprio la nostra “normalità” il problema. Siamo stati troppo frenetici per riconoscere le cose che non andavano, troppo occupati per dedicarci intensamente a migliorare questa società e noi stessi, questo virus potrebbe farci un grande dono, quello del tempo, un tempo nuovo, desideroso di futuro. Viviamo questa realtà come un’opportunità per rifiorire, proprio nel termine crisi possiamo cogliere una sfumatura positiva in quanto momento di riflessione e discernimento che può mutarsi nel presupposto necessario per un miglioramento, crisi intesa come fattore predisponente al cambiamento, che prepara il futuro su nuove basi.

Ed è proprio con quest’ultima riflessione sul futuro che vi voglio salutare, Fukuyama vide nel ventunesimo secolo, la “fine della storia” il 1900 si stava per concludere, e in quei 100 anni era successo di tutto, due guerre mondiali, i totalitarismi, la nascita e il crollo dell’ URSS, il muro di Berlino, la bomba atomica. Per Fukuyama il processo di evoluzione sociale, economica e politica dell’umanità avrebbe raggiunto il suo apice con la fine del ventesimo secolo, le grandi narrazioni e i grandi cambiamenti non avrebbero potuto minimamente intaccare il sistema neoliberista, e invece in questo difficile momento notiamo che non è così, l’illusione dell’eterno sviluppo capitalistico si è infranto, ma non c’è da temere, siamo usciti da questo infinito presente e abbiamo cominciato a parlare di nuovo di futuro, costruiamolo insieme nessuno escluso, torniamo a credere in nuovo mondo possibile, un mondo più umano.

“siamo onde dello stesso mare,
foglie dello stesso albero,
fiori dello stesso giardino.”
(Giancarlo Fabbian)

Un abbraccio

Francesco C.